Quando, questa mattina mi lasciasti lì sul marciapiede al volo
ed in un balzo scesi dall’auto porgendoti un saluto con la mano
scrutando, ansioso, nello specchietto per scorgere il tuo viso
mai avrei pensato che fosse l’ultima volta che l’avrei veduto.
Quando, accesi la sigaretta osservando, lo sguardo curioso
quella strana tipa, tutta di rosa vestita ed i suoi piedi affilati,
e la sua mano agitata, nervosa, mi squadrava nascosta da lenti nere,
mai avrei creduto fosse l’ultima donna che avrei osservato.
Quando, immergevo il mio sguardo nel caffè bollente e rivedevo,
innocente, il tuo sorriso, tu nel mezzo del cortile assieme ai tuoi compagni
correre come uno sciame d’api giocose, miele e zucchero della vita
bambino mio, mai fosse stato l’ultimo sorriso che m’avresti offerto.
Quando seduto sulla poltrona di pelle meditavo su rapporti e relazioni
sulle reazioni dell’amministratore da contenere, alle prospettive
del mercato che mi offrivano un’opportunità ed un futuro sicuro
mai avrei immaginato che esso fosse dinanzi a me infuocato e scuro.
Quando, raggiungesti l’ultimo piano e le scale mobili mi portavano lente
al piano aperto dove il cielo è più vicino alle case e son macchie gialle i taxi
la curva della terra, come fantastico trampolino con il sole per medaglia
mai avrei creduto che quello fosse stato il mio ultimo salto.
Quando, squillò il telefono e risposi, il tuo pianto acuto, mi dicevi: ti amo
e non capivo, seguivo inebetita lo srotolarsi d’interminabili attimi: ti amo
rispondevo al telefono ormai muto, il fuoco ingoiava crudele ed assurdo
la vita: la tua, la mia. Avrei fermato il tempo per sentire la tua voce in eterno.
Quando, salivo le scale quattro a quattro, il fumo acre sempre più denso e invadente
ed io bardato di asce, estintori e maschere come un cavaliere del nuovo millennio
correvo imponendo al cuore uno scudo, nascosta la paura dietro la mia armatura.
Salendo ogni piano stridente metallo, ogni atrio scroscianti cristalli, ogni passo lembi di fuoco
e donne, e uomini torcia, vento infernale e incedere lento del cemento su sé stesso
un assurdo e malefico accartocciarsi del mondo, rinchiudersi in sé dell’universo.
Immaginavo la morte meno atroce, le porte d’un inferno aperte da un volo innocente.
p.s.: scritta il 12 Settembre 2001
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